C’è chi sceglie il “Giardino del ricordo”. Ma possono essere anche le acque dei mari, dei laghi e dei fiumi, vietati i centri abitati. Complice la crisi economica, cresce in Italia la scelta della cremazione dei defunti, che può portare anche alla diffusione delle ceneri, a partire proprio dai “Giardini del ricordo” individuati nei cimiteri. Ma il nostro Paese resta sostanzialmente ultimo in Europa, battuto solo dalla Grecia, dove il rito era vietato fino al 2016. Anche la cattolica Spagna sfiora un 50 per cento di cremazioni sul totale di decessi. Secondo l’elaborazione di Neodemos, dal 2000 al 2015 il ricorso alla cremazione, per l’estremo saluto ai propri cari, è passato dal 5 per cento ad oltre il 21 (quasi 140mila). «E oggi è stato superato il 23», dice Alessandro Bosi, segretario generale della Federazione nazionale imprese onoranze funebri. «C’è stata un’evoluzione a livello culturale e si è iniziato a valutare qualcosa in passato impensabile – sottolinea -, la chiesa cattolica ha sdoganato la cremazione e poi c’è una questione di costi».
IL CONFRONTO
Un’accelerazione sì, ma resta notevole il distacco dagli altri Paesi. Se in Giappone e in estremo oriente la cremazione è di fatto unico rito, rileva Neodemos che il primato in Europa spetta alla Svizzera (85 per cento). Appena dietro Slovenia, Svezia e Repubblica Ceca. Al 76 per cento la Gran Bretagna, al 55 la Germania. In Italia esistono numeri molto diversi. Se al centro il dato ricalca la media nazionale, al nord ha superato il 30 per cento, mentre il sud e le isole hanno numeri più contenuti. La legge ha riordinato la materia il 30 marzo 2001, prevedendo la possibilità di dispersione delle ceneri. Dispersione che può avvenire solo dietro autorizzazione dell’ufficiale di stato civile (come la cremazione) e che va attuata sulla base di espressa volontà del defunto. Alle Regioni spettano i piani di coordinamento sul territorio, ai Comuni la realizzazione degli impianti. Il meccanismo, di fatto, si è messo in moto una quindicina di anni fa.
LA SITUAZIONE
Gli impianti di cremazione sono 79. «Sono principalmente al centro-nord – spiega Alessandro Bosi -. La cremazione è possibile ovunque, l’affidamento in ambito domiciliare ovunque ma con qualche difficoltà, la dispersione solo nelle regioni che hanno deliberato in materia: tutte meno la Calabria. Di fatto, a seconda di dove vivi o muori puoi accedere ad un diritto. La Chiesa, nel “Resurgendum con Cristo” (2016, ndr), dice che la cremazione è possibile (pur ribadendo la preferenza della sepoltura, ndr), ma non è gradito l’affidamento domiciliare né la dispersione». Ad incidere sui numeri sembrano i costi. «Costa leggermente di più il funerale – dice Bosi -, perché influisce l’onere richiesto dal Comune per l’operazione di cremazione, attorno ai 600 euro, ma si risparmia sulla tumulazione, sia che decida di disperdere le ceneri o portarle a casa, sia che decida per la conservazione al cimitero: il costo del loculo è inferiore alla media di 2.500-2.700 euro. E in tempi di crisi la popolazione si è orientata così».
C’è un risvolto. «I Comuni hanno iniziato ad alzare le tariffe per il rilascio dei documenti per la dispersione. Dalla pratica più semplice di 50 euro per l’atto di affidamento si arriva a quasi mille euro». E un altro risvolto ancora. «Tutti vogliono un bel funerale – sottolinea Bosi -, ma pensando che la cassa verrà bruciata a volte si cerca di minimizzare la qualità della fornitura. Ma che venga bruciata o che sia chiusa al cimitero, la bara si vede comunque solo alla cerimonia, il momento in cui il defunto va onorato».